Archivio di luglio 2010

Chicago

sabato 3 luglio 2010

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Chicago

Entro a Downtown Chicago attraversando il ponte in ferro sul North Branch Chicago e lascio l’auto al Kingsbury Park, il primo autosilo che trovo. Ero partito dal motel un’ora prima, seguendo la Grand Av, strada che avevo scelto perché non fa parte del reticolo di vie perpendicolari della periferia, ma lo attraversa in diagonale, e questo mi aveva fatto pensare che si trattasse di un’arteria storica. Sebbene il motel dove alloggio in questi giorni sia già dentro la cintura urbana, dista comunque 25 chilometri dal cuore di Chicago. Avevo così potuto intuire lo sviluppo della città attraverso i quartieri delle diverse comunità, come quella Ucraina, che ha edificato la splendida chiesa cattolica di St. Joseph, composta da 12 torri circolari, non lontano dal ristorante in cui avevo cenato la sera precedente. Verso le 10 dunque inizio l’esplorazione della città. La giornata è splendida, il lago Michigan è a due chilometri in linea d’aria: una buona passeggiata. Vengo subito attratto dal vociare proveniente dell’English Pub dove ragazzi con maglie brasiliane e olandesi stanno guardando la partita: quale occasione migliore per fare colazione e immergermi nell’atmosfera cittadina…
Man mano che avanzo tra i grattaceli storici e moderni, tra ponti e vie d’acqua, lungo strade e metropolitane a cielo aperto, vengo catturato dal fascino unico di questo luogo.
In giorno prima non avevo scattato neppure una foto nella tappa di avvicinamento alla metropoli, oggi invece guardo il display della mia Canon e vedo l’indicatore della memoria scendere vertiginosamente.
Riesco anche a scovare il Visitor Center dove, con una telefonata durata 15 minuti, la responsabile del personale riesce a confermare il mio volo di ritorno. Ci avevano provato già in due, al motel e alla ricezione di un grande albergo in cui avevo chiesto indicazioni, senza successo; per me sarebbe stato impossibile.
La città è pronta per i festeggiamenti del 4 luglio e le manifestazioni a Grant Park non si contano.
Durante la scorsa settimana avevo notato la popolazione delle campagne e dei piccoli centri impegnarsi nei preparativi: prati rasati alla perfezione, bandiere stelle e strisce ovunque, facciate ridipinte, piazzali asfaltati a nuovo.
Chicago è famosa per la parata del 4 luglio, ma io la perderò, perché sarò sulla strada dell’aeroporto.
Dopo sei ore di camminata, 360 foto scattate, viso e braccia ustionati (non ho pensato al sole!) e una serie di aneddoti nella mente, ritrovo l’auto: pago e riprendo la Grand Av in senso opposto.
A metà strada c’è ancora lo spazio per un incontro particolare. Sono fermo ad un semaforo rosso, nel mezzo delle due corsie che dirigono a ovest una donna anziana di colore sulla carrozzella chiede l’elemosina. Di solito non lascio denaro ai mendicanti perché se va bene finisce in alcool. Ma la donna dai capelli bianchi non ha il piede destro e lo sguardo è lucido. Lei mi guarda, e senza che io faccia cenno alcuno (porto gli occhiali da sole), capisce che le avrei dato qualcosa. Mentre si avvicina alla portiera destra dell’auto porgendo un bicchiere di plastica abbasso il finestrino. Nel cruscotto, davanti alla leva del cambio, ho messo tutte le monete che mi hanno dato di resto in questo mese. Quelle da 1/4 di dollaro le usavo per fare il bucato. Prendo tutte le monete che riesco a stringere nel pugno le le lascio cadere nel bicchiere. Prima di allontanarsi mi dice: Dio ti benedica…
Alzo gli occhi, verde, riparto.
Domani farò ancora due passi in città, con più calma però, e mettendo la crema solare…

A presto, Andrew.

Baraboo

giovedì 1 luglio 2010

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Battito d'ali

Prophetstown è un piccolo villaggio sorto a metà ottocento sulla sponda meridionale del Rock River, un affluente del Mississippi, a quaranta miglia a est di Davenport. Come la maggior parte di questi nodi posti sulle vie di comunicazione, ha vissuto un passato florido. Il dipinto realizzato da allievi della scuola superiore d’arte sulla parete di un edificio, racconta la celebrazione del 4 luglio 1897, con la banda che suona nella via principale di un paese animato da gente, carrozze e commercianti. Vi ero arrivato dopo un lento spostamento un direzione nord attraverso i campi dell’Illinois centro-settentrionale. Incappato nell’unico motel, il Riverside Motel appunto, mi ero fermato per la notte. Pareva una serata tranquilla: due passi per curiosare e scattare una foto, cena in un ristorante grazioso della via principale, collegamento internet wi-fi rubato ad un certo Robert per aggiornare il mio sito… Al rientro però la voce adirata di una donna proveniente dalla stanza accanto mi aveva messo in agitazione. Pareva discute al telefono per qualche minuto, poi si calmava, poi riprendeva. Prima del tramonto mi faccio notare uscendo sul balcone che collega l’entrata di tutte le camere al primo piano, lasciando la porta aperta. La donna mi imita: esce, la saluto e lei risponde gentilmente, rientra lasciando la porta aperta. Dopo qualche istante riprende a parlare, seduta davanti allo specchio parla a se stessa. Ha evidentemente una doppia personalità. Capisco che sarà una lunga notte.

Decido comunque di non fare nulla: la sento urlare alle 02.30, alle 04.00 e alle 06.30. La stanza di un motel non è certo il posto dove dovrebbe stare una donna che ha bisogno di aiuto. Vi sono persone che vengono abbandonate a se stesse o altre che non hanno la forza o il coraggio di affrontare uno stato depressivo. Così si nascondono al mondo convinte di trovare in qualcosa o in qualcuno un salvagente a cui aggrapparsi. È un vero peccato perché sia la medicina che la società moderna sono pronte a prendere per mano queste persone e accompagnarle fino a quando non hanno ritrovato la strada.
Parto da Prophetstonw con una sensazione di disagio che mi accompagnerà per diversi chilometri.
Il dolce paesaggio collinare al confine del Wisconsin riesce però a farmi cambiare umore e nel pomeriggio approdo a Mount Horeb, un simpatico villaggio dal chiaro stampo norvegese, dove Trolls alti più di un metro e scolpiti nel legno, ti salutano dal giardino di ogni abitazione: la Trollway!
Non funzionando la wi-fi sarò costretto a pubblicare questo articolo più avanti, dopo essermi spostato ancora più a nord, per prendere lo slancio che mi porterà a Chicago, ultima tappa di questo entusiasmante viaggio.
Il giorno successivo infatti, continuo il tranquillo girovagare e, grazie all’ormai consueto cambio di direzione, posso esplorare una regione ricca di laghi e paludi, ma anche di paesi dalla vocazione turistica e da caratteristiche inconsuete come Baraboo.
Baraboo non è un nome inventato, e neppure la parola usata dal Leeloo (Milla Jovovich) quando precipita nel taxi di Korben Dallas (Bruce Willis) nel film Il quinto elemento: “badaboom”.
È il capoluogo della contea di Souk vicino alla quale, sbagliando strada, ho potuto imbattermi in uno strano pennuto dalla testa rossa e alto quasi un metro mai visto prima d’ora. Nel ho messo la foto nel sito, se qualcuno ne conosce il nome…

Ma ora sto divagando troppo.
Notte, Andrew.