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L’ottava meraviglia del mondo

giovedì 10 Giugno 2010

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Tramonto nella Monument Valley

Sono le otto del mattino di mercoledì 9 giugno a Keyenta, Arizona. Seduto al tavolo di un caffè dalla caratteristica pianta ottagonale, come le abitazioni dei nativi americani, osservo. Al tavolo alla mia sinistra siedono una donna col figlio, luce dei suoi occhi. Il ragazzo sedicenne ha una splendida chioma nera raccolta in una lunga coda che arriva fino alla cintola. Poco oltre si sono appena accomodati un’anziana indiana, col caratteristico vestito a quadretti bianchi e blu, accompagnata dai due nipoti. I giovani Navajo hanno grande rispetto per gli anziani. Dall’altra parte parte del locale, pure nativi, siedono tre uomini intenti a fare colazione: non mollano il cappello neanche a morire…
Ripenso alla giornata precedente. Ero partito da Page seguendo la 98, viaggiando con molta calma. Sapevo di avere tutto il tempo per arrivare alla meta prefissa: la Monument Valley. Se fossi arrivato troppo presto non avrei avuto la luce buona per scattare le foto. Così mi ero fermato ad ogni punto panoramico, ammirando ogni bancarella dove i nativi espongono i loro manufatti. Avevo pranzato ad un caffè indiano ordinando alla cieca dal menu: un buon minestrone con pezzi di manzo accompagnato da una sorta di frittelle al formaggio da condire col miele di fiori di cactsu. Non male.
Prima di svoltare a sinistra sulla 163 avevo letto l’insegna: Monument Valley, l’ottava meraviglia del mondo. Nella testa l’immagine della copertina dell’album degli Eagles; volevo ritrovarla. Dirigendomi verso Mexican Hat la strada sale e scende dalle colline. Accostando l’auto per l’ennesima volta, ero sceso e… trovata. La lunga strada che punta diritta verso la montagna per svoltare leggermente a sinistra e poi ancora a destra scomparendo chissà dove. Era proprio lei. Avevo deciso di tornare all’imbrunire per tentare qualche scatto in notturna. Cambiando ancora il programma, stamane ero ritornato per fotografare questo spettacolo con la luce del mattino.
Ora, mentre finisco il mio caffè, penso che la giornata che sto per affrontare sarà completamente differente. Mi attende una lunga tratta fino al Petrified Forest National Park e poi ancora più a sud, fino a St Johns. Ma mai potrei immaginarmi cosa in realtà sta per riservarmi il prossimo futuro.
La foresta pietrificata in realtà sarà una mezza delusione dal punto di vista paesaggistico. Emozionante invece poter toccare con mano questi tronchi affioranti nel mezzo del deserto. Mi ero sempre chiesto quale potesse essere la sensazione: sembra di toccare il marmo, quello di Arzo visto il colore…
Ma il bello arriverà la sera quando, alla ricerca di una sorta di taverna messicana in cui cenare, incappo in un gruppetto mi motociclisti americani. Mi avevano già visto nel pressi del motel e così, mentre entriamo, mi chiedono se voglio unirmi a loro.
Sono quattro ragazzotti sulla cinquantina provenienti dal North Carolina e dal New Mexico: amici in motocicletta in cerca di avventura. Sono interessati all’immagine che hanno gli americani all’estero, soprattutto Ron, che lavora per una ditta di condizionatori d’aria. Mi chiedono del mio lavoro e del mio viaggio. Bobby, capitano di polizia a Fayetteville, conosce la Germania e la Svizzera. Gli altri due mi mostrano i tatuaggi che portano con orgoglio sulle braccia con, in mezzo ai classici disegni da motociclista, il nome dei figli. Vogliono darmi qualche dritta sul percorso da scegliere nelle prossime settimane e, siccome degli stati centrali non conosco nulla, accetto ben volentieri. Rientrando al motel, dopo avermi offerto la cena, si fermano nella mia stanza e, mentre alcuni guardano le foto sul mio Mac, uno dei quattro mi segna il tragitto sul libro stradale che poi mi regala.
Non sapendo cosa offrire in cambio, decido di regalargli i mio coltellino svizzero, quello che possiedo da 23 anni.
Vistosamente colpito, l’amico americano si mette le mani al collo e, di fronte allo sguardo attonito del collega che mi fa capire il valore di quel gesto, mi dona una collana da cui non si separa mai; e si vede.
Prima i lasciare la stanza mi promettono che scriveranno un commento nel mio blog: lo attendo con gioia!

Buonanotte amici Americani, Andrew.

Due anni d’attesa

martedì 8 Giugno 2010

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Antelope Canyon, Arizona

Talvolta bisogna saper aspettare il momento giusto per ottenere ciò che si desidera. E se si ritiene che questa cosa sia così bella o preziosa, non importa quanto lunga possa essere l’attesa.
Page sarà l’unico punto in cui il viaggio di due anni fa e quello che sto vivendo adesso si incontrano. E non è un caso. Allora, forse per le difficoltà con la lingua, forse perché non ero convinto di avere abbastanza tempo, non ero stato in grado di organizzare questa escursione. La cosa mi è rimasta sullo stomaco fino ad oggi.

Il tour comincia alle 11.30 ma alle 7.30 sono già in piedi. Controllo e ricontrollo tutta l’attrezzatura: macchina fotografica con batterie cariche, memoria di riserva, straccetto, telecomando, pompetta a mano per la polvere. Attaccati all’imbracatura: teleobiettivo, grandangolare, borraccia, cellulare. Inoltre nello zainetto: flash, una mela, altra acqua. Cavalletto.
Esco a fare colazione, ma questa volta voglio rimanere leggero; cerco un caffè di cui ho letto una buona recensione e prendo un cappuccino doppio con torta alla crema.
Si parte puntuali a bordo di grossi fuoristrada con ruote spropositate, sospensioni raddoppiate e sul cui ponte sono stati fissati longitudinalmente due lunghi sedili. Siamo in otto in questo gruppo. Sotto al telo aperto sui due lati la calura si fa sentire.
Appena entrati in territorio Navajo finisce l’asfalto e comincia la sabbia. Barbara, la nostra guida e autista indiana, inserisce la trazione 4×4. Ne avremo bisogno! Il fuoristrada sobbalza tanto che a fatica riusciamo a tenere il sedere incollato al suo posto. Arriviamo all’imboccatura del piccolo canyon che siamo già impolverati.

Come immaginavo la prima parte di visita guidata è addirittura irritante: troppa gente e le guide ci mettono fretta.
Poi però, quando i gruppi di “non fotografi” se ne vanno, abbiamo 40 minuti per fotografare liberamente.
Ed è ora che scopro i colori più belli e le inquadrature meno scontate.

Ci riportano in paese: le scarpe sono piene di sabbia rossa.
Prego che nell’apparecchio fotografico non sia entrata troppa sporcizia: non ho nemmeno provato a cambiare obiettivo durante il tour. Del cavalletto non parliamo neppure, basti dire che a più riprese ho faticato parecchio ad allungare ed accorciare le aste.

Ma ora sono qui, e stasera si festeggia con uno steak americano!

Missione compiuta, Andrew.

PS: se volete vedere le foto più belle dell’Antelope Canyon non basterà guardare il mio sito…

Nella bocca del vulcano

lunedì 7 Giugno 2010

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Fiori del deserto

Sono le otto del mattino di domenica 6 giugno, ho appena bevuto il caffè con Anna e salutato il proprietario dell’appartamento che ha accettato di ospitare anche me per un paio di notti. Negli occhi di Anna leggo la delusione di chi si sente escluso. Dispone di un paio di giorni di vacanza e vorrebbe accompagnarmi al Grand Canyon. Ma dopo 24 ore a Sedona già “mi prudono le mani”. Devo partire, solo. È così che concepisco questo tipo di viaggio.
Imbocco subito l’Oak Creek Canyon che, grazie alla grande presenza di acqua, ha una vegetazione lussureggiante. A Flagstaff, sulla mitica 66, mi fermo in un locale storico per la colazione. Avendo abbondantemente cenato in un ristorante indiano la sera precedente, era meglio attendere qualche ora prima di ricaricarmi con uova, prosciutto e patate… È un giorno particolare per le famiglie americane la domenica: indossano i vestiti migliori e si concedono la colazione al ristorante. Così alle mie spalle siedono coppie e famiglie intere; le bambine con il loro bel vestitino e i bimbi con la camicia allacciata fino all’ultimo bottone: sorridono, tutti.
Leggendo meglio la cartina vedo che poco più a nord c’è un parco nazionale: mi ci fiondo. Si tratta del Sunset Crater Volcano. Faccio due passi lungo un sentiero scosceso di sabbia nera. In cima alla collina altro spettacolo: a sud le vette delle montagne ancora innevate, mi trovo nella bocca di un vulcano e a nord il Grand Canyon.
Per riprendere la 89 a nord di Flagstaff devo passare dal Wupatki National Monument.
Il paesaggio ricorda quello del film “Balla coi lupi”, dove il protagonista si insedia nel mezzo del territorio indiano.
Mancano solo i bisonti!

Che varietà di orizzonti. Prima di arrivare a Page ultimo panorama: qui inizia il Grand Canyon.

Prendo un stanza al Motel6 per 72 dollari la notte e mi preparo per ciò che due anni fa non ero riuscito a fare: le foto all’interno dell’Antelope Canyon.

Alla prossima, Andrew.

Sedona

domenica 6 Giugno 2010

Tonto National Monument

Tonto National Monument

Venerdì 4 giugno; parto da Mammoth con un po’ di rammarico per non aver potuto visitare quella che pensavo fosse la più bella regione caratterizzata dai cactus giganti. Procedo verso nord lungo la 77 e, a sud di Globe, prima di immettermi sulla 88, questo tipo di vegetazione ricompare in modo insistente. Globe è una cittadina mineraria: chilometri di colline artificiali formate con i resti delle estrazioni; colline verde rame… Una ciminiera sorge in mezzo ad un canyon sovrastandolo. Un veicolo di cantiere scarica dell’acqua color rosso ruggine giù per una scarpata; sarà biodegradabile?!

Continuo in direzione del Roosevelt Lake. Da qualche miglio mi trovo ormai nella Tonto National Forest. Vedo l’indicazione “Tonto National Monument”: decido di svoltare a sinistra e curiosare. Fantastico… Un piccolo parco, un gioiello sul fianco di un canyon dove crescono stupendi saguari in fiore. Si accede direttamente attraversando il Visitor Center. Prendo l’attrezzatura fotografica e m’incammino sul sentiero che porta alla caverna indiana. La vista sul lago, in fiori, gli uccelli di diverse specie… Se siete di passaggio amici, non preoccupatevi del Saguaro N.P., ma fermatevi qui!

Riparto. La strada comincia a salire sulle montagne e la vegetazione cambia. Mi immetto sulla 87, i cactus spariscono e cominciano le foreste di pino. Vorrei fermarmi a Strawberry ma quassù i due motel non dispongono di internet. Cosa fare fino a sera? Un paio di ore di auto più a nord, la mia amica Anna L. (ticinese) è appena arrivata dal Montana; potrei passare a trovarla. E così faccio.

Seguo la 260 che attraversa un altopiano con poca vegetazione e scende poi fino alla 17, poche miglia e svolto sulla 179 in direzione di Sedona. Altro spettacolo: la strada entra in un canyon con le caratteristiche conformazioni a torre color rosso mattone. Mi sembra di essere in un film.
La cittadina di Sedona è adagiata i mezzo a queste montagne. Trovo l’abitazione di Anna senza difficoltà. Strana sensazione incontrare un’amica dell’altra parte del mondo. Per cena ci rechiamo al ristorante dell’aeroporto che, contrariamente a quello che succederebbe da noi, qui si trova sull’altopiano in cima al canyon. Vista spettacolare, tramonto e stelle…

Penso che per oggi ne ho viste a sufficienza!

Domani sarà un giorno di riposo a Sedona: primo bucato, calcolare se sono nei tempi, acquistare un hard disk esterno (perché mi ci vorrebbero troppi dvd per fare una copia di sicurezza di tutte le foto) e una piccola gita nei paraggi.

E forse trovo anche un posto con internet per pubblicare questo articolo.

Andrew.

Cambio programma…

venerdì 4 Giugno 2010

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Saguaro in fiore

Da un paio di giorni ormai viaggio nel deserto, prima quello californiano, ora quello dell’Arizona. Poche foto da fare ma molto da vedere. I diversi tipi di deserto, quello roccioso e quello sabbioso; gli allevamenti di bovini il cui odore si sente per miglia; i treni lunghissimi trainati da 4 motrici diesel; le immense coltivazioni di foraggio che rendono il deserto incredibilmente verde; i canali artificiali che portano l’acqua dalle montagne; gli interminabili sbarramenti metallici che corrono lungo il confine col Messico nel tentativo di arginare l’onda di disperati alla ricerca del benessere…
Mi ero fermato a El Centro e ho proseguito ieri fino a Gila Bend. Cosa c’è a Gila Bend di tanto interessante? Nulla. Ma dopo 4 ore di viaggio una pausa tecnica era proprio indicata. Così mi son potuto preparare al meglio per scattare le foto al tramonto. A dire il vero c’è qualcosa di buono in quel piccolo crocevia in mezzo al deserto, oltre allo Space Age Motel in cui ho dormito: un “ristorante” dalla vera cucina italiana, come sta scritto sull’insegna. Non ci crederete ma ho mangiato dei veri spaghetti al dente, con del vero pomodoro! Stamane, dopo aver fatto colazione di fronte ad un dipinto dell’astronave di Star Trek, ho lasciato il motel il cui arredamento interno ed esterno richiama le missioni spaziali. Meta prefissa: Saguaro National Park a est di Tucson. Tutto sembrava combaciare; distanza, tempo, orario d’arrivo… Ma poi, mentre percorrevo la 10 in direzione di Tucson, un cartello attira la mia attenzione: Saguaro National Park next exit. Sulla carta sembra più piccolo di quello famoso…non c’è tempo per riflettere…
Cambio programma! Svolto a destra e seguo le indicazioni.
Ben presto capisco d’aver fatto la scelta giusta.
Il deserto ai lati della strada è disseminato di giganteschi cactus, e sono pure il fiore!
Al Visitor Center acquisto l’Annual Pass che mi consentirà di entrare in ogni parco nazionale.
La Ranger è incuriosita dalla mia scelta e mi rivolge le classiche domande…
Quando capisce che sono un Ranger Svizzero con la passione per la foto mi stringe la mano e mi ricopre di prospetti e consigli…
Decido comunque di recarmi anche nell’altro parco ma, con grande delusione, lo trovo praticamente chiuso: stanno rifacendo il manto stradale. Penso a quanto sia stata opportuna la scelta del mattino…
A questo punto è inutile fermarmi a Tucson, decido di proseguire verso nord, sulla 77, dove alla fine trovo un picco lo motel.
Mi trovo a Mammoth, in una piccola stanza da 40 dollari in mattoni pitturati di blu, con gli asciugamani blu…
Ma malgrado non riesca neppure a capire di cosa possa vivere questa comunità cresciuta lungo il San Pedro River, dispongo di un collegamento internet Wi-Fi veloce con cui posso scrivere questo articolo.
E pensare che nella moderna Svizzera se si abita a Pedrinate si può solo sognare d’avere l’ADSL…

Alla prossima, Andrew.