Archivio di Giugno 2010

Il Drago

mercoledì 16 Giugno 2010

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Dragon

Entro nel Black Canyon of the Gunnison National Park esibendo ancora una volta il mio Annual Pass. Non ho mai sentito nominare questo parco e siccome è appena visibile sulla cartina stradale, l’idea è quella di dare una breve occhiata e via. Credevo. Non appena mi affaccio sulla profonda gola di roccia nera capisco che sono di fronte ad un altro degli spettacoli creato da madre natura. La giornata sarà molto più lunga ed entusiasmante del previsto, proprio come lo era stata la precedente. Anche ieri infatti ero partito da Durango credendo che la visita al Mesa Verde N.P. e la successiva trasferta verso Montrose non mi avrebbero donato grandi emozioni. A parte le odiose visite guidate ai villaggi indiani nascosti sulle pareti dei canyon che avevo elegantemente ignorato, la giornata era stata piena di scoperte interessanti. Avevo fotografato i villaggi da lontano con il teleobietivo da 400 mm, incontrato un coyote che passeggiava lungo la strada incurante dei turisti, appreso dell’ossessione americana d’inizio ‘900 per le auto che portò alla costruzione di strade nelle zone più sperdute del paese. Nel pomeriggio poi, a seguito di una delle ormai consuete deviazioni, avevo imboccato una lunga vallata il cui fiume, che rende i pascoli verdi e fertili, porta il nome di mia sorella: Dolores. E mentre salivo fino al Lizard Head Pass a oltre 3000 metri, la temperatura scendeva fino a 6 gradi centigradi e la prima pioggia rendeva difficili le mie breve soste. Scendendo sul lato nord della montagna il clima era di nuovo cambiato, era tornato il sole e il traffico… Improvvisamente, incrociando un camion, un tonfo mi aveva fatto sobbalzare. Guardando nello specchietto retrovisore avevo potuto vedere la nuvola di polvere sollevata dall’esplosione di uno pneumatico del mezzo pesante e poi, dalla stessa una grossa striscia di gomma e fili d’acciaio volare in mezzo alla carreggiata. Le auto che seguivano avevano fatto appena in tempo a frenare evitando il peggio. La notte a Montrose non era stata delle migliori. Il motel, gestito da una coppia la cui moglie aveva vissuto a San Gallo lavorando alla Migros, non È uno di quelli che consiglierei…
Ma ora sono qui, e di fronte a me quel drago disegnato sulla roccia mi ricorda che molta gente è convinta negli Stati Uniti vi siano energie e presenze sovrannaturali… Da buon forestale, abituato quindi ad osservare ed interpretare la natura, mi limito a pensare che questo continente abbia una conformazione tale da rendere tutto più speciale. L’altitudine media molto elevata, il clima che cambia improvvisamente, le catene montuose poste da nord a sud (invece che da est a ovest come siamo abituati lungo le Alpi), e l’incredibile numero di terre vulcaniche sparse su tutto il territorio, rende l’atmosfera magica, piena di energia. Ma non si tratta di maghi o draghi… Si tratta di natura.
Esco dal parco che è già pomeriggio, costeggio il Blue Mesa Reservoir (ampio lago artificiale), risalgo ancora nella Gunnison National Forest fino ai 3500 metri del Monarch Pass, e ridiscendo fino a Canon City. Ho attraversato paesi fondati da emigranti svizzeri dove, all’entrata del ranch, invece del nome sta appesa una mela con infilzata la freccia…
Come da noi una volta anche in queste valli arrivava la ferrovia, e questo potrebbe spiegare perché molte foreste non siano dove dovrebbero essere. L’utilizzo del legname per la costruzione dei villaggi e della ferrovia, la fame di pascoli per il bestiame, e il fabbisogno enorme di legname da parte delle città, deve aver spogliato le montagne del loro mantello verde. A queste altitudini ci vorranno secoli prima che il bosco riprenda il suo posto.
Comunque, draghi permettendo, trascorrerò la notte al Comfort Inn cercando di ricaricare le batterie per domani.

Buonanotte, Andrew.

A Nina

lunedì 14 Giugno 2010

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Dedicato a Nina

Mi trovo in una locanda di Amarillo, nel nord del New Mexico, sono quasi le undici e non ho ancora messo nulla nello stomaco. Sto percorrendo la strada che da Taos mi porterà a Durango, in Colorado. L’anziana padrona del locale mi serve il caffè e mentre scelgo dal menu l’abbondante colazione, sento arrivare un messaggio sul cellulare. Leggo: “…sono nata sabato mattina alle 04.07, peso 2.940 kg, misuro 49 cm e mi chiamo Nina…”
Sorrido.
Di certo per qualche settimana ancora non potrò fare visita alla piccola Nina e alla splendida mamma, ma posso almeno dedicarle un fiorellino.
Riparto più sereno seguendo la lunga strada che attraversa vallate incredibilmente verdi su su fino al passo della Carson National Forest.
Arrivato a Durango, una cittadina stile Western, mi concedo una passeggiata sulla via principale, curiosando tra i negozi e le gallerie d’arte locale, prima tornare al motel per scrivere questa dedica.

Cara Nina, un bacio tutto Colorado….

Andrew.

Due amici a Santa Fe

domenica 13 Giugno 2010

La strada della speranza

La strada della speranza

Esco dalla doccia nella mia camera in stile New Mexico del motel Super 8 di Taos. I mobili sono in legno di pino con decorazioni indiane, sulla parete un arazzo Pueblo. La giornata è stata intensa. Dapprima la scoperta del Bandelier National Monument con le rovine dell’antico villaggio Tyuonyi nel Frijoles Canyon: una passeggiata di due ore sulla sponda del Frijoles Creek attraverso un bosco di pini, querce e salici, ammirando la pianta circolare del villaggio, i resti delle abitazioni appoggiate alla roccia e gli altri ripari ricavati sul fianco della montagna. Poi la visita al santuario di Chimayo situato nel mezzo di colline sperdute, con le stampelle appese ad una parete a testimoniare la grazia ricevuta. Il vento intenso del pomeriggio mi ha riempito di sabbia ad ogni fermata, ma ora è tutta un’altra cosa.
Gli ultimi due giorni sono stato ospite di Anna e Brendan a Santa Fe.
Anna è originaria di Bruzella (sì, proprio in Valle di Muggio) mentre il marito, che ha vissuto diversi anni in Ticino, è cresciuto qui. Avevo promesso ad Anna, conosciuta grazie al fatto che aveva commentato le foto del mio sito, che se fossi tornato negli USA sarei passato a trovarla. Detto, fatto. I due nuovi amici mi hanno accompagnato alla scoperta degli aspetti più interessanti di questa storica cittadina dove moltissimi artisti hanno scelto aprire i loro atelier: La Plasa, gli alberghi storici, i locali, le gallerie d’arte, l’antica stazione. Non poteva però mancare a fine giornata una buona pasta al sugo con lunga chiaccherata in stile ticinese… Ed è grazie alle indicazioni di Brendan che ho potuto trovare i luoghi descritti in precedenza.

Questa sera cenerò nella Taos Plasa , in un piccolo caffè in fondo ad una via laterale: il Bent Street Deli & Cafè.
Le costruzioni in legno sono su un lato in stile Saloon, con ampi terrazzi al primo piano, mentre di fronte una fila di casupole ospita al piano terra dei piccoli negozi di artigiani a cui si accede salendo tre scalini e nel sottotetto una piccola finestra sembra celare una cameretta ormai adibita ad ufficio.

Un abbraccio ad entrambi, Andrew.

L’ottava meraviglia del mondo

giovedì 10 Giugno 2010

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Tramonto nella Monument Valley

Sono le otto del mattino di mercoledì 9 giugno a Keyenta, Arizona. Seduto al tavolo di un caffè dalla caratteristica pianta ottagonale, come le abitazioni dei nativi americani, osservo. Al tavolo alla mia sinistra siedono una donna col figlio, luce dei suoi occhi. Il ragazzo sedicenne ha una splendida chioma nera raccolta in una lunga coda che arriva fino alla cintola. Poco oltre si sono appena accomodati un’anziana indiana, col caratteristico vestito a quadretti bianchi e blu, accompagnata dai due nipoti. I giovani Navajo hanno grande rispetto per gli anziani. Dall’altra parte parte del locale, pure nativi, siedono tre uomini intenti a fare colazione: non mollano il cappello neanche a morire…
Ripenso alla giornata precedente. Ero partito da Page seguendo la 98, viaggiando con molta calma. Sapevo di avere tutto il tempo per arrivare alla meta prefissa: la Monument Valley. Se fossi arrivato troppo presto non avrei avuto la luce buona per scattare le foto. Così mi ero fermato ad ogni punto panoramico, ammirando ogni bancarella dove i nativi espongono i loro manufatti. Avevo pranzato ad un caffè indiano ordinando alla cieca dal menu: un buon minestrone con pezzi di manzo accompagnato da una sorta di frittelle al formaggio da condire col miele di fiori di cactsu. Non male.
Prima di svoltare a sinistra sulla 163 avevo letto l’insegna: Monument Valley, l’ottava meraviglia del mondo. Nella testa l’immagine della copertina dell’album degli Eagles; volevo ritrovarla. Dirigendomi verso Mexican Hat la strada sale e scende dalle colline. Accostando l’auto per l’ennesima volta, ero sceso e… trovata. La lunga strada che punta diritta verso la montagna per svoltare leggermente a sinistra e poi ancora a destra scomparendo chissà dove. Era proprio lei. Avevo deciso di tornare all’imbrunire per tentare qualche scatto in notturna. Cambiando ancora il programma, stamane ero ritornato per fotografare questo spettacolo con la luce del mattino.
Ora, mentre finisco il mio caffè, penso che la giornata che sto per affrontare sarà completamente differente. Mi attende una lunga tratta fino al Petrified Forest National Park e poi ancora più a sud, fino a St Johns. Ma mai potrei immaginarmi cosa in realtà sta per riservarmi il prossimo futuro.
La foresta pietrificata in realtà sarà una mezza delusione dal punto di vista paesaggistico. Emozionante invece poter toccare con mano questi tronchi affioranti nel mezzo del deserto. Mi ero sempre chiesto quale potesse essere la sensazione: sembra di toccare il marmo, quello di Arzo visto il colore…
Ma il bello arriverà la sera quando, alla ricerca di una sorta di taverna messicana in cui cenare, incappo in un gruppetto mi motociclisti americani. Mi avevano già visto nel pressi del motel e così, mentre entriamo, mi chiedono se voglio unirmi a loro.
Sono quattro ragazzotti sulla cinquantina provenienti dal North Carolina e dal New Mexico: amici in motocicletta in cerca di avventura. Sono interessati all’immagine che hanno gli americani all’estero, soprattutto Ron, che lavora per una ditta di condizionatori d’aria. Mi chiedono del mio lavoro e del mio viaggio. Bobby, capitano di polizia a Fayetteville, conosce la Germania e la Svizzera. Gli altri due mi mostrano i tatuaggi che portano con orgoglio sulle braccia con, in mezzo ai classici disegni da motociclista, il nome dei figli. Vogliono darmi qualche dritta sul percorso da scegliere nelle prossime settimane e, siccome degli stati centrali non conosco nulla, accetto ben volentieri. Rientrando al motel, dopo avermi offerto la cena, si fermano nella mia stanza e, mentre alcuni guardano le foto sul mio Mac, uno dei quattro mi segna il tragitto sul libro stradale che poi mi regala.
Non sapendo cosa offrire in cambio, decido di regalargli i mio coltellino svizzero, quello che possiedo da 23 anni.
Vistosamente colpito, l’amico americano si mette le mani al collo e, di fronte allo sguardo attonito del collega che mi fa capire il valore di quel gesto, mi dona una collana da cui non si separa mai; e si vede.
Prima i lasciare la stanza mi promettono che scriveranno un commento nel mio blog: lo attendo con gioia!

Buonanotte amici Americani, Andrew.

Due anni d’attesa

martedì 8 Giugno 2010

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Antelope Canyon, Arizona

Talvolta bisogna saper aspettare il momento giusto per ottenere ciò che si desidera. E se si ritiene che questa cosa sia così bella o preziosa, non importa quanto lunga possa essere l’attesa.
Page sarà l’unico punto in cui il viaggio di due anni fa e quello che sto vivendo adesso si incontrano. E non è un caso. Allora, forse per le difficoltà con la lingua, forse perché non ero convinto di avere abbastanza tempo, non ero stato in grado di organizzare questa escursione. La cosa mi è rimasta sullo stomaco fino ad oggi.

Il tour comincia alle 11.30 ma alle 7.30 sono già in piedi. Controllo e ricontrollo tutta l’attrezzatura: macchina fotografica con batterie cariche, memoria di riserva, straccetto, telecomando, pompetta a mano per la polvere. Attaccati all’imbracatura: teleobiettivo, grandangolare, borraccia, cellulare. Inoltre nello zainetto: flash, una mela, altra acqua. Cavalletto.
Esco a fare colazione, ma questa volta voglio rimanere leggero; cerco un caffè di cui ho letto una buona recensione e prendo un cappuccino doppio con torta alla crema.
Si parte puntuali a bordo di grossi fuoristrada con ruote spropositate, sospensioni raddoppiate e sul cui ponte sono stati fissati longitudinalmente due lunghi sedili. Siamo in otto in questo gruppo. Sotto al telo aperto sui due lati la calura si fa sentire.
Appena entrati in territorio Navajo finisce l’asfalto e comincia la sabbia. Barbara, la nostra guida e autista indiana, inserisce la trazione 4×4. Ne avremo bisogno! Il fuoristrada sobbalza tanto che a fatica riusciamo a tenere il sedere incollato al suo posto. Arriviamo all’imboccatura del piccolo canyon che siamo già impolverati.

Come immaginavo la prima parte di visita guidata è addirittura irritante: troppa gente e le guide ci mettono fretta.
Poi però, quando i gruppi di “non fotografi” se ne vanno, abbiamo 40 minuti per fotografare liberamente.
Ed è ora che scopro i colori più belli e le inquadrature meno scontate.

Ci riportano in paese: le scarpe sono piene di sabbia rossa.
Prego che nell’apparecchio fotografico non sia entrata troppa sporcizia: non ho nemmeno provato a cambiare obiettivo durante il tour. Del cavalletto non parliamo neppure, basti dire che a più riprese ho faticato parecchio ad allungare ed accorciare le aste.

Ma ora sono qui, e stasera si festeggia con uno steak americano!

Missione compiuta, Andrew.

PS: se volete vedere le foto più belle dell’Antelope Canyon non basterà guardare il mio sito…